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Nella tana della tigre (Bhutan), quasi al cospetto di Dio

Il monaco al tempio della fertilità aveva ragione e i dadi avevano parlato chiaro (anche se al secondo tentativo…!): oggi ci sarebbe stato il sole e infatti è una splendida giornata che ci consente di affrontare questa escursione senza troppe preoccupazioni per la pioggia. Il sole entra dalla fessura lasciata tra le pesanti tende. Le nuvole si muovono piano e ci regalano una vista fantastica, ma soprattutto insperata e rapidissima, sulle montagne. Trovarci ancora una volta per fare colazione tutti insieme è il momento che inizia la giornata al quale ci siamo abituati e ritrovarsi a chiacchierare delle  avventure dei giorni passati, come già fossero ricordi, fa parte della condivisione di questo viaggio. Oramai quasi un rituale quotidiano, un appuntamento atteso per ripercorrere ogni attimo di questa avventura. 

E’ il nostro ultimo giorno in Bhutan e stiamo raggiungendo il punto di partenza per la scalata verso la tana della tigre, un monastero arroccato sulla montagna a 3200 metri di quota. Raggiungiamo il campo base di partenza in poco più di mezzora dal nostro albergo. Abbiamo portato delle bandierine di preghiera con la volontà di lasciare un po’ di noi e delle persone che amiamo su queste imponenti montagne. Vogliamo immaginare  i nostri pensieri mentre volano leggeri nell’aria rarefatta degli altissimi picchi riscaldati dal sole. Chissà dove voleranno, chissà se incontreranno un’aquila, il sole, la neve, una nuvola… forse Dio. Ci sentiamo anche noi leggeri e nonostante il fiatone, il sudore e il freddo che arriva repentino al primo soffio di vento dei tremila metri, ci sembra aver perso il peso del nostro corpo ed aver raggiunto uno stato di profondo ed ineguagliabile benessere mentale.

Il monastero è visibile già dal ritrovo, a 2500 metri di altitudine. La difficoltà non è la lunghezza del percorso, ma la salita difficile da affrontare a quote così elevate e la differenza di altitudine tra la partenza e l’arrivo, un dislivello molto impegnativo. Per chi non si sente di poter affrontare l’impervia ascesa è possibile arrivare a dorso di mulo o di cavallo. In alternativa si può acquistare un bastone in legno come aiuto al nostro fisico, per la somma di 50 NU (meno di  un euro). Naturalmente noi vogliamo farcela da soli e raggiungere la tana della tigre è lo scopo di questa giornata. Mettere in gioco i nostri limiti fa parte della scoperta e oggi tocca a quelli fisici…

La salita è subito ripida e il monastero ci sembra sempre più raggiungibile. Dopo un’ora di cammino (quasi un’arrampicata) e un fiatone che sembra spaccare i nostri polmoni in cerca di ossigeno difficile da trovare, si raggiunge una caffetteria. Una tappa a mezza salita che consente, a chi non ce la fa, di fermarsi e di rimanere ad ammirare il monastero da lontano. Decidiamo di non fermarci e di proseguire senza nemmeno una breve sosta. Non vogliamo rischiare di perdere il ritmo e di raffreddare i nostri muscoli oramai abituati allo sforzo. La caffetteria rimane così un miraggio e proseguiamo insieme a turisti, ragazzi locali in gruppo per una scampagnata, uomini e donne in pellegrinaggio con pacchetti colmi di offerte per il tempio, muli e monaci.

Sul nostro percorso le bandierine di preghiera ci accolgono ad ogni curva, ad ogni punto di osservazione aperto sul monastero, ad ogni anfratto che possa avere, tra la vegetazione,  un appiglio utile a legare i lacci delle bandiere.

Decine e decine di pellegrini scelgono accuratamente il punto ove sistemarle, portate come offerta di preghiera agli dei, ovunque lungo la salita, tra i rami degli alberi, in mezzo alle pietre, vicino ad un rigagnolo propizio e necessario.

Un vecchio, partito insieme a noi dal campo base, si riposa seduto su di un grosso blocco di roccia e, guardando la sua età, ci sembra impossibile come possa affrontare tale sforzo. Bastano pochi minuti per riprendere fiato e ripartire, lo troveremo nuovamente sul nostro percorso.

Più saliamo, più aumentano i grandi cespugli di rododendri fioriti che spiccano, con i loro grappoli di fiori colorati, tra le bandiere sventolanti al cielo. Siamo sudati, affamati, emozionati. Il monastero diventa, piano piano, più visibile, più grande e soprattutto più reale. La salita  alterna  alcuni tratti in piano, poi si scendono numerosi scalini per ritrovarsi sotto il monastero ed essere totalmente dominati dalla sua imponenza. Il luogo esatto della sua costruzione sembra perfettamente studiato affinché già la vista (oltre alla difesa, naturalmente) possa incutere una forma di soggezione per la sua grandezza. Il sole fa risplendere  la cupola appuntita in oro, sotto di esso una parete verticale sulla quale trova vita un minuscolo rododendro rosso. Ci sembra giusto e doveroso che l’ultimo tratto per raggiungere il luogo sacro sia una salita difficoltosa di grandi scalini in pietra sistemati e resi stabili con del cemento e un corrimano che ne accompagna il percorso. Per arrivare al suo cospetto è necessario un ultimo grande sforzo. Arriviamo in cima praticamente esausti e dopo il primo accaloramento dovuto dallo sforzo fisico, sentiamo tutto il freddo dei 3200 metri. Dobbiamo lasciare zaini e telefoni prima di poter accedere alla scala che porta all’ingresso dell’area sacra. Ci sono numerose sale di preghiera e un saliscendi continuo tra grossi sassi, scalini incerti, passerelle in legno, stretti passaggi. Gli interni non offrono particolari tesori, né pitture, né arredi. Forse una delusione, sicuramente uno spunto di riflessione su cosa renda davvero mistico un luogo di fede. La visita è abbastanza breve, siamo sfiniti e abbiamo bisogno di mangiare qualcosa  e di bere dell’acqua, anche se, purtroppo, siamo partiti impreparati e non abbiamo né cibo, né acqua. Lasciamo questo luogo dello spirito e ci prepariamo per ripercorrere a ritroso il lungo cammino che ci ha portato sin qui.

Anche noi scegliamo con cura il luogo ove lasciare le nostre preghiere e un grande albero sembra richiamare la nostra attenzione. Ecco il nostro luogo del cuore, proprio sul costone di montagna che guarda il grande monastero. Abbiamo scritto sopra ad ogni bandiera il nome dei nostri cari e con attenzione le leghiamo tra il tronco e le altre numerosissime bandiere già presenti. Il vento se le prende velocemente, come a non voler perdere nemmeno la più breve invocazione. Siamo così felici che la stanchezza sembra scomparsa e il nostro corpo animato di nuova energia.

(tratto da “La mia Asia”)